L’Italia era nel ristretto circolo dell’aristocrazia del calcio, fino a qualche anno fa. Adesso fa ridere o piangere, a seconda delle sensibilità. E se Prandelli ed Abete si dimettono non è perché hanno commesso errori (certo di responsabilità ne hanno soprattutto agli occhi di un popolo di sessanta milioni di commissari tecnici), ma per aver preso coscienza che è impossibile e disperato agire in un mondo che non comprende il senso ed il valore dell’appartenenza ad una compagine nazionale. Dove fino ad ora erano più importanti le apparenze anziché un vero e proprio lavoro sulla crescita personale degli atleti e della squadra con metodologie evolute e pratiche, per avere dei vincenti, prepararli ad affrontare qualunque tipo di sfida e di condizioni di campo, senza più affidarsi alla fortuna o al caso per vincere le partite. Si riparte dai giovani Italiani che potrebbero crescere e sviluppare le loro potenzialità ed i loro Talenti non solo a beneficio delle società di appartenenza, ma soprattutto della nazionale!